Responsabilità datore lavoro e norme antinfortunistiche

1. Questione
Il tribunale di Ascoli Piceno condannava il responsabile della società datrice di lavoro alla pena di tre mesi di arresto in quanto riconosciuto colpevole del reato previsto dagli artt. 81 c.p., 14 ed 81 del d.lgs. 66/2003 per aver omesso di far sopportare i lavoratori alla prescrittiva visita medica di accertamento di idoneità al lavoro in turni notturni.
A seguito di appello dell’imputato la corte d’appello di Ancona in parziale riforma della pronuncia di primo grado dichiarava il reato estinto limitatamente ad un solo lavoratore e determinava la pena per il residuo reato in mesi due e giorni 20 di arresto.
Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione, la quale annulla la sentenza.

2. Art. 2087 c.c. e responsabilità datore di lavoro
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il committente che l’appaltatore, è esclusivo responsabile della tutela dei propri dipendenti dai rischi che coinvolgano unicamente questi ultimi, poichè la cooperazione tra committente ed appaltatore è imposta soltanto per eliminare i rischi comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe le parti (Cass. pen., Sez. 4, n. 28197 del 21.5.2009).
Sicchè, essendo proprio questo il caso, è chiaro come sia sul il committente sia sull’appaltatore incombesse l’obbligo di cooperazione (Cass. pen. Sez. 4 n. 19752 del 19.3.2009), cioè di reciproca informazione e “di contribuire attivamente, dall’una e dall’altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e

protezione necessarie” (Cass. pen., 28197 del 9.7.2009) la cui violazione ha chiaramente avuto diretta efficienza causale nella verificazione dell’evento letale. In forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro (al pari degli altri titolari di analoghe e contestuali posizioni di garanzia) è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2. Ne segue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi che l’ambiente di lavoro abbia I requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera (cfr. Cass. pen. Sez. Un. n. 5 del 25.11.1998).

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Normativa antinfortunistica: responsabile il datore per la mancata codificazione

20 ott 2015 La Corte di Cassazione, con sentenza n. 41486 del 15 ottobre 2015, ha affermato che la mancata codificazione formale, da parte del datore di lavoro, della normativa antinfortunistica, al fine di ridurre al minimo i rischi di infortuni sul lavoro, porta ad una responsabilità penale di quest’ultimo qualora si dovessero verificare lesioni ai propri dipendenti. Ciò in quanto l’esistenza della semplice prassi aziendale ed eventuali istruzioni verbali non sostituiscono una regolamentazione ed una informazione formale al lavoratore dei rischi presenti in azienda.

Il caso di specie riguarda il ricorso presentato dal lavoratore contro il suo datore di lavoro condannato alla pena detentiva per lesioni colpose aggravate dalla violazione delle leggi antinfortunistiche, convertita in Appello nella corrispondente pena pecuniaria, revocando la sospensione condizionale della pena.
Il ricorso presentato in Cassazione è fondato sul fatto che il datore omettendo l’adozione di misure per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, anche di carattere strettamente valutativo dei rischi a cui sono esposti i lavoratori, ha contribuito a cagionare al dipendente in questione lesioni personali (trauma toracico e contusione gomito destro).
A tal proposito i giudici di merito hanno ben posto in evidenza che costituiva dato certo che l’imputata, nella sua qualità di datrice di lavoro ed in violazione della disposizione sulla sicurezza sul lavoro, non aveva redatto all’epoca dell’infortunio un piano operativo di sicurezza adeguato. Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell’evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.

Questi principi non si attagliano al caso di specie, essendo rimasto provate non solo la mancanza di valutazione (nel POS) del rischio derivante dallo svolgimento in quota di determinati lavori di manutenzione, ma anche l’omessa concreta dotazione al lavoratore, nel frangente dell’infortunio, degli strumenti idonei ad effettuare tali tipi di lavoro (trabattello).
Pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso considerando il principio di diritto che le istruzioni verbali e le mere prassi operative non assumono quella forza cogente che deve essere, invece, attribuita alla “codificazione” delle norme attuative antinfortunistiche in un documento scritto all’uopo redatto, lasciando ragionevolmente negli addetti alle lavorazioni pur sempre, nella loro rappresentazione soggettiva, quei margini di discrezionalità nella esecuzione di esse (istruzioni meramente verbali e prassi), riconnessi alla caratteristiche (non codificate e prive di alcuna solennità) di tali diverse forme di attuazione delle norme prevenzionistiche; ritenute, in tal caso, variabili in quanto del tutto plausibilmente soggette a quegli adattamenti suggeriti dalle concrete contingenze, sulla base di condotte ricollegabili proprio alla carenza di norme scritte inderogabili contenute nel documento formale, tali da attribuire ad esse quelle caratteristiche di cogenza ed inderogabilità, proprie di tali forme di “codificazione normativa scritta”, delle modalità di lavorazione all’interno dell’azienda, conformi alle cautele antinfortunistiche, rispetto a disposizioni meramente verbali ed a prassi aziendali.

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Normative scarpe antinfortunistiche

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Le vostre scarpe da lavoro devono essere adatte al mestiere che svolgete. Per capire quale calzatura di sicurezza è più indicata per il vostro lavoro consultate la nostra guida “Gli indumenti e le scarpe da lavoro ideali per la tua professione” e leggete le spiegazioni in merito alla struttura di una scarpa da lavoro e alle normative di sicurezza correlate.

Com’è strutturata una scarpa di sicurezza?

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Normativa UNI EN ISO 20345 per le calzature antinfortunistiche

Questa norma di sicurezza valida a livello europeo sancisce i requisiti di base e facoltativi per le scarpe da lavoro e include anche la resistenza allo scivolamento, i rischi meccanici e i rischi termici.

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